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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2004-11-30 | [Acest text ar trebui citit în italiano] | Înscris în bibliotecă de Adriana Camelia Silvia Popp
Passeggiavo nel corridoio, in pantofole e pigiama, scavalcando di tanto in tanto un cumulo di biancheria sudicia. Il mio albergo era di prima categoria perchè aveva due ascensori e un montacarichi (quasi sempre guasti) ma non disponeva di un ripostiglio per lenzuola, federe e asciugamani in provvisorio disuso e le cameriere dovevano ammucchiarli qua e là negli angoli morti. A notte inoltrata in quegli angoli morti arrivavo io, e perciò le cameriere non mi amavano. Tuttavia, dopo aver dato qualche mancia, avevo ottenuto il tacito permesso di deambulare dove volevo. Era la mezzanotte passata. Trillò piano un telefono. Che fosse nella mia stanza? Mi avviai con passi felpati ma sentii che qualcuno rispondeva; era al numero 22, la stanza vicina alla mia. Stavo per ritirarmi quando la voce che rispondeva, una voce di donna, disse: "Non venire ancora, Attilio: c'è un uomo in pigiama nel corridoio. Passeggia in su e in giù. E potrebbe vederti".
Sentii dall'altra parte un confuso gracidio. "Mah?" ripose lei "non so chi sia. E' un disgraziato che fa sempre così. Non venire, ti prego. Semmai ti avviso io." Riattaccò con un tonfo, udii passi nella camera. Mi allontanai d'urgenza scivolando come sui pattini. In fondo al corridoio c'era un sofà, un secondo cumulo di biancheria e un muro. Sentii la porta della camera 22 aprirsi; da uno spiraglio la donna mi osservava. Là in fondo non potevo restare; tornai indietro lentamente. Avevo circa dieci secondi di tempo prima di passare davanti al 22. Fulmineamente esaminai le varie ipotesi possibili. 1) Tornare nella mia stanza e chiudermici dentro; 2) idem con variante, informando cioè la signora che avevo sentito tutto e che intendevo farle cosa grata ritirandomi; 3) chiederle se proprio ci teneva a ricevere Attilio o se io ero un pretesto da lei scelto per esimersi da un non grato bullfight notturno; 4) ignorare il colloquio telefonico e continuare nella mia passeggiata; 5) chiedere alla signora se intendeva eventualmente sostituirmi all'uomo del telefono ai fini di cui al numero tre; 6) esigere spiegazioni sul termine "disgraziato" col quale aveva creduto di designarmi; 7) ... la settima stentava a formarsi nel mio cervello. Ma ormai ero davanti allo spiraglio. Due occhi neri, una liseuse rossa su una camicia di seta, una capigliatura corta ma piuttosto ricciutella. Fu un attimo, lo spiraglio si richiuse di colpo. Il cuore mi batteva forte. Entrai nella mia camera e sentii il telefono trillare ancora al numero 22. La donna parlava piano, non sentivo le parole. Tornai nel corridoio con passo da lupo e allora qualcosa riuscii a distinguere: "E' impossibile, Attilio, ti dico ch'è impossibile...". Poi il clac del ricevitore riattaccato e il passo di lei verso la porta. Con un salto mi pecipitai verso il cumulo d'immondizie numero due, rimuginando in cuor mio le ipotesi 2, 3, 5. Lo spiraglio si aperse ancora. Fermo là era impossibile restare. Mi dissi: sono un disgraziato, ma lei come ha fatto a saperlo? E se passeggiando la salvassi da Attilio? Oppure salvassi Attilio da lei? Non sono fatto per essere l'arbitro di nulla, tanto meno della vita degli altri. Tornai indietro trascinando una federa con una pantofola. Lo spiraglio era più largo, la testa ricciuta sporgeva di più. Ero a un metro da quella testa. Mi irrigidii sull'attenti dopo essermi liberato con un calcio dalla pantofola. Poi dissi con voce troppo forte che rintronò nel corridoio: "Ho finito di passeggiare, signora. Ma come sa che sono un disgraziato?". " Lo siamo tutti" disse lei e richiuse la porta di scatto. Trillò ancora il telefono nell'interno.
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