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Il mare pallido (frammenti)
poezie [ ]
1945

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
de [Paul_Pãun ]

2009-08-26  | [Acest text ar trebui citit în italiano]    |  Înscris în bibliotecă de Yigru Zeltil





Porto tra le labbra la vita di un uovo
e tra le palpebre ancora chiuse le alghe del pianto
solo il deserto conosce questa terribile pioggia
che penetra insieme con gli uccelli nelle ossa del viso,
solo il deserto conosce questa neve amara
su ogni mano aperta, sulle spalle fiaccate,
su ogni bocca del cuore.

Porto ancora nelle dita il fumo, il coltello e il fiore,
la pelle del cadavere dolce come le braccia della notte,
la sua fronte di calza di seta,
la vasca riempita con onde di foglie
dove le sue mani pendono sulle acque del mare.

Non ho vestito più belo, le notti d’estate,
porto la sua pelle trasparente sulle spalle,
col sorriso abbozzato su una maschera liquida
come capelli appoggiati a una roccia
porto il tuo corpo disperso sulle ginocchia dell’abisso
e i passi che perdo continuano nelle ombre dei passi.

Ora porto nelle mani una lampada di fiamme,
una piccola nave e un occhio di gallina,
dall’alto di un pane bagnato nel tuo sangue
dico piano il nome del fuoco
dico il nome della morte così piano
come il serpe della lacrima sulla pelle umida di lacrime
così piano come la loro sola forma fattasi in bocca e caduta nelle mani,
tengo in una mano la forma del nome del fuoco
e nell’altra mano la forma del nome della morte,
dall’alto di un pane bagnato nel tuo sangue
guardo come questi strani oggetti si bruciano
reciprocamente
. . . . . . . . . . . . . . . .

Nei tuoi occhi aperti molto al di là dei loro margini
col pettine molle districo gli animali gialli di letargo
e nella tua gola scorre una veste liquida.

Ora puzzi di cavallo sventrato, di obitorio,
quante volte, quante volte proibita, nascosta,
tra le mie gambe quando cammino
la tua pelle si tende, si contrae insieme coi passi
tra le labbra ho la tua testa trasformata in una palude di capelli
mentre sulle braccia,
così bianco e così chiaro,
tengo il tuo corpo come un cucchiaino.

Poso questo oggetto, questo cadavere minimo
e scrollo dai capelli una piuma o una candela
davanti allo specchio appeso all’albero
taglio dall’osso una guancia
di una grazia piuttosto démodée
e un’altra che è una scatola di legno
profumata di seta.

Poso questi oggetti rudimentali
ricordo bene il nome di un coltello
il nome di un vetro da lampada
la schiena lunga di quel bambino
la fronte e il ventre
ricordo bene la palpebra nascosta nel cuscino
l’angolo di labbro
i passi scalzi sulle chicche calde
troppo molli, ricordo
troppo calde, troppo molli,
e così dolce, troppo dolce in gola
a paragone del gusto di questa scure.

Ricordo, conto, quasi 22 oggetti
poso accanto a te,
oggetti di pompe funebri con le piume nere
pali e bicchieri,
le pareti di pelle, di vetro delle stanze,
la sigaretta, il tremito delle dita, il coltello
tutto quello che posso fare con il mio amore
così come alzo le vele lunghe, le braccia, le palpebre,
gli oggetti comuni all’amore e ai delitti,
posso
giù
insieme con le mani
il vetro da lampada, la cannula, la lisca di pesce
il fazzoletto, il temperino e 30 lei,
e tuttavia tra noi c’è una piuma vestita da boia
un cadavere come un piccola bambola – senza alcuna spiegazione,
mi decido a spogliarmi
con il lento pallore di una donna
con il folgorante luccichio di un coltello,
non bacio, non uccido
mi spoglio e vado a letto con questa bambola cadavere.

Più nudo della perdita del cielo, della perdita dell’ombra,
più fradicio della trapunta lacerata dai cani in mezzo alla piazza,
circondato da mobili abissi,
con il velo sperduto dei tuoi capelli aleggiante tra le dita,
con una sola lacrima che la guancia beve,
con mani d’argento,
con i capelli e il volto tessuti in una sola maschera informe,
con l’asciugatoio nero al collo
e con la gola aperta,
più triste di una nuvola,di una piuma,
come un fiocco d’ovatta,
con la mano sulla mia spalla
così diffusa
come la trapunta
lacerata dai cani in mezzo alla piazza,
più nudo del mio cuore
intorno a me gli abissi e gli alberi molli
tendono tra loro una gomma bollente, una pasta filante
sulla quale crescono alberi, in cui s’aprono abissi, sulla quale crescono
crescono alberi e così via
una pasta pneumatica severamente vietata custodita da fulmini
e da nubi più calde della neve che ti cade sulle labbra,
intorno a me
relitti di una lunga tempesta
in cui, con gli occhi chiusi e coperti da ambo le mani,
distinguo i cocci bianchi rimasti di te.
. . . . . . . . . . . . . . . .

Sulla piana si stendono ora moltissimi letti
di ferro, con i cuscini e le lenzuola che pendono in mezzo sbattuti
dal vento,
tutti sono partiti
oppure io devo dormire in tutti questi scheletri.
Dietro c’è fumo,
tutt’intorno, soffocante, il paesaggio fuso
respira profondamente, s’arresta, respira,
è un terreno da duello
su cui sono solo
e dove qualcuno deve cadere a un’ora precisa.

Circondata dal vapore delle nebulose,
con gli occhi della pioggia che precede il mattino
con i seni da baciare,
con la bocca sola, con i seni soli al mondo,
con i capelli muro diroccato da salve di granate,
circondata dl sonno,
con il fianco del cuscino del nulla appoggiato alle montagne,
amor mio
tante volte, troppe volte intatta, perduta, trovata,
ecco come passo accanto a te con le labbra pallide
una piccola formica apre sulla fronte una larga pianura
e tracce di sangue ti macchiano il viso sconvolto.

Così, nella città inondata fino al di là dei grandi oceani,
i tuoi passi scorrono in silenzio accanto a un solo fiore in fiamme,
muovi le labbra, le labbra come due bambole perpetuum mobile
una del colore del cielo, con odore d’orologio, l’altra
del colore della terra che lasci
assolutamente vuota d’ogni presenza umana.


(traduzione vicino Greta Rosso)

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